LA MALATTIA DI ALZHEIMER: Quando il corpo prende le distanze dalla mente
Con l’adolescenza,questo il ragionamento che si è soliti fare,il cervello raggiunge il suo pieno sviluppo,la nostra intelligenza tocca l’acme e da questo momento in poi il processo cognitivo e quello neuronale andranno in discesa,con perdita di materia,perdita di neuroni,perdita di memoria e una crescente probabilità di restringimento vascolare dovuto a placche a ostruzioni varie. Questo quadro deprimente può essere contestato da molti punti di vista ed è importante per il nostro futuro rianalizzarlo e riconsiderarlo.
Oliver Sacks
ABSTRACT
L’approccio sistemico è ancora poco diffuso in ambito geriatrico ed ancora più raro nella malattia di Alzheimer. All’ospedale di Broca (Parigi) dal 2006 è in corso un programma di supporto per famigliari di persone affette da M. di Alzheimer, questo programma parte dal presupposto che ci si prende cura di alcuni malati con fatica, solo a causa di conflitti e difficoltà di comunicazione all’interno della famiglia del malato.
Questo lavoro vuole essere un esempio di come si possa restituire dignità al malato di Alzheimer concentrandosi sulle relazioni e sulle modalità comunicative all’interno del nucleo famigliare e proporre alcuni spunti di riflessione intorno alla malattia, grazie a tre pellicole cinematografiche che affrontano e descrivono i differenti punti di vista con cui si può stare accanto a una mente che cambia nel corpo di chi non si riconosce più: la sistemica può essere un’opportunità?
PAROLE CHIAVE: Connessioni, famiglia, memoria, accompagnamento, amore.
CENNI NEUROPATOLOGICI DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER
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La malattia di Alzheimer (m.di A.) fu descritta per la prima volta nel 1906 da Alois Alzheimer, neuropsichiatra tedesco, in una donna di 51 anni che presentava perdita della memoria, cambiamento del carattere, delirio di gelosia, incapacità a provvedere alle cure domestiche. Fino agli anni '70 si ritenne che la malattia potesse colpire solo le persone al di sotto dei 65 anni: si parlò quindi di "demenza presenile" (Pazzaglia, 2008). Solo negli ultimi decenni si è accertato che la malattia di A. non è esclusiva dell’età presenile, ma anzi è tanto più frequente quanto più aumenta l’età. Nelle persone che hanno superato i 65 anni la frequenza complessiva (prevalenza) è circa del 7%, negli 80enni del 30% circa. Questa caratteristica della m. di A., unita al costante aumento del numero di anziani tipico della nostra epoca, rende ragione della grande espansione della malattia.
La m. di A. colpisce le cellule del sistema nervoso centrale. E’ caratterizzata dalla morte di cellule cerebrali, particolarmente in quelle aree del cervello deputate alla memoria e alle altre funzioni cognitive. Al parenchima cerebrale normale si sostituiscono la sostanza amiloide e le placche neurofibrillari. Nelle ultime fasi della malattia la progressiva povertà cellulare si traduce macroscopicamente in atrofia della corteccia cerebrale, cioè in un assottigliamento del tessuto cerebrale visibile anche alla TAC e alla Risonanza Magnetica.
L'evoluzione della malattia può essere suddivisa, con molta approssimazione, in tre fasi (Pazzaglia, 2008): La prima è caratterizzata da una leggera perdita della memoria e da una progressiva incapacità di imparare nuovi concetti e nuove tecniche, nonché da difficoltà a esprimersi e a comprendere. Nel malato si notano modificazioni del carattere e della personalità, difficoltà nei rapporti con il mondo esterno, diminuzione delle capacità percettive visuo-spaziali. Si può notare una difficoltà sempre maggiore nell'emettere giudizi, incertezza nei calcoli matematici e nei ragionamenti che richiedono una certa logica. Sono spesso presenti ansia, depressione e ritiro sociale. In una fase successiva le caratteristiche del malato di Alzheimer sono quelle date dal peggioramento delle difficoltà già presenti: come conseguenza le azioni della vita quotidiana diventano, per il malato, molto problematiche. La progressiva perdita di memoria spiega la maggior parte delle difficoltà che il malato si trova a dover affrontare ogni giorno: la mancanza di memoria autobiografica, e quella relativa alle attività manuali più comuni, rendono il paziente perennemente insicuro e incerto. I disturbi del linguaggio accompagnano quelli della memoria e il malato perde anche la capacità di comprendere le parole e le frasi, di leggere e di scrivere. Il peggioramento delle capacità visuo-spaziali porta il malato a perdersi sui percorsi conosciuti, a non impararne di nuovi, a non orientarsi nemmeno tra le mura di casa; la capacità di riconoscere le facce e i luoghi viene progressivamente perduta.
La cosiddetta terza fase è caratterizzata da una completa dipendenza dagli altri. Le funzioni intellettive sono gravemente compromesse; compaiono difficoltà nel camminare, rigidità degli arti, incontinenza urinaria e fecale, possono verificarsi crisi epilettiche; le espressioni verbali sono ridotte a ripetizioni di parole dette da altri, o ripetizione continua di suoni o gemiti (ecolalia immediata e tardiva), o addirittura mutismo. Possono manifestarsi comportamenti "infantili", come portare ogni cosa alla bocca o afferrare qualunque oggetto sia a portata di mano. Spesso il malato si riduce all'immobilità, e la continua costrizione al letto può fare insorgere lesioni da decubito, infezioni respiratorie, urinarie, sistemiche, oltre che contratture muscolari.
Lungo tutto il decorso della malattia, ma soprattutto nelle prime due fasi, sono presenti anche sintomi cosiddetti “non cognitivi”, in varia misura e di diversa gravità: agitazione, irrequietezza, aggressività, ansia, depressione, disinibizione sessuale, apatia, disturbi del sonno; inoltre possono manifestarsi alterazioni del comportamento alimentare (bulimia o anoressia) e disturbi del cammino (aumento patologico dell’attività motoria, ”wandering”). La durata media della malattia è stimata tra gli 8 e i 14 anni. E’ difficile da definire, perché l’esordio è lento e insidioso, e la diagnosi spesso tardiva. Inoltre, il decorso della malattia è molto influenzato dallo “stile di cura”, sia formale (personale professionista) sia informale (i famigliari). La durata della fase ultima della malattia dipende in maniera drammatica dal “nursing” (igiene, alimentazione, idratazione), potendo durare anche molti anni.
E’ proprio quello che qui viene definito “stile di cura” quello che ci interessa e che sappiamo può essere influenzato dalle conflittualità presenti nel nucleo famigliare e dal carico emotivo che questa patologia può comportare per chi se ne prende cura.
L’ESPERIENZA ITALIANA E QUELLA FRANCESE A CONFRONTO
Quello che verrà descritto qui di seguito è l’approccio pre e post diagnostico alla Malattia di Alzheimer che è più diffuso tra gli ospedali e i servizi UVA (Unità Valutazione Alzheimer) in Italia, non vuole essere una generalizzazione, ma una foto attendibile, in quanto chi scrive è consapevole delle differenze che esistono tra struttura e struttura.
Quando un malato giunge all'attenzione del neurologo al centro UVA è già stato solitamente dal medico di base e, a volte, è già stato sottoposto anche ad una visita psichiatrica in quanto i sintomi tanto subdoli della malattia, spesso si confondono con quelli di uno stato depressivo.
I famigliari, quando presenti (solitamente figli e coniuge), sono già provati perché, sempre per lo stesso motivo, i sintomi sono già presenti da tempo, si sono già incistati in seno al sistema famigliare e lo hanno già sconvolto.
Al neurologo viene presentata una descrizione più o meno accurata dei sintomi, di quanto essi incidono sulla vita dell’intera famiglia (soprattutto quelli non-cognitivi) e una descrizione di quanto prima il malato facesse in autonomia e che ora non fa più. Il neurologo può prestare o meno attenzione a tale descrizione e spesso, interrompendo il racconto, pone domande anamnestiche mirate, sempre ignorando il malato e parlando in terza persona come se egli non ci fosse.
Si rivolge in un secondo tempo al malato, con toni spesso che vengono riservati ai bambini, gli pone semplici domande per valutare l’orientamento spazio temporale e dopodiché somministra il MMSE (mini mental state examination), in toto o estrapolandone solo alcune domande.
A questo punto prescriverà una serie di accertamenti quali:
test neuropsicologici e cognitivi
RM encefalo
Esami ematici
A volte viene proposto il test genetico per la determinazione della ε4ApoE (apolipoproteina coinvolta nella formazione della sostanza amiloide) sul malato e sui famigliari (figli, fratelli/sorelle).
Una volta acquisiti tutti gli accertamenti, il neurologo potrà diagnosticare una demenza tipo Alzheimer (la diagnosi di certezza è possibile unicamente dopo l’esame istopatologico del tessuto cerebrale post-mortem), prescrivere dei farmaci con un piano terapeutico semestrale (anticolinesterasici, memantina, antiossidanti, antipsicotici), tale è anche la frequenza con cui viene richiesta la visita periodica.
Non ci sono automatiche segnalazioni di possibilità di aiuto e di orientamento psicologico per la famiglia se non a pagamento o rivolgendosi a gruppi di volontariato.
Le psicoterapie maggiormente adottate sugli anziani in generale sono quelle cognitivo-comportamentali e psicoanalitiche (Cristini, 2005).
La famiglia così si trova sola, con in mano un pugno di farmaci che, nella più rosea delle prospettive, rallentano il decorso della malattia, ma non lo arrestano; hanno a che fare con una regressione inarrestabile e spesso gli innesti psicotici che il malato di Alzheimer può manifestare, diventano motivo di tensione all’interno della famiglia sino ad arrivare a pratiche di violenza sul malato.
Gli aiuti che vengono forniti sono esclusivamente legati alla pratica di gestione quotidiana (ADI) che ancora oggi si ottengono dopo una lunga burocrazia.
Dal 2006 a Parigi, all’interno dell’unità operativa di psicologia dell’ospedale di Broca al nucleo famigliare che si offre di prendersi cura del malato (non viene mai identificato un singolo membro della famiglia su cui focalizzare tutte le risorse) vengono proposti, parallelamente alle cure neurologiche e farmacologiche, 10 incontri con uno psicoterapeuta sistemico rivolti a tutti i membri della famiglia che vogliano parteciparvi (Gaussens, 2004). Le sedute sono strutturate con incontri mensili o quindicinali (a seconda delle esigenze dei componenti la famiglia), che si svolgono o in locali accoglienti dell’ospedale o in alcuni casi al domicilio del malato.
Le sedute hanno lo scopo di far emergere le risorse della famiglia, che si mostra più resiliente di quanto essa stessa poteva credere all’inizio del trattamento.
Vengono anche rese note le fasi della malattia di Alzheimer, senza però enfatizzarne nessuna in particolare, viene insegnato a riconoscere il cambiamento della persona affetta, dal punto di vista del corpo in trasformazione e della mente in regressione, senza svelare inutili particolari che potrebbero anche non verificarsi.
Si configura il reciproco cambiamento sia del malato ai nostri occhi, ma anche di noi agli occhi del malato: non dobbiamo sforzarci di farci riconoscere come eravamo o come gli altri ci vedono, ma dobbiamo imparare che siamo anche come ci vede il malato, anche se questo significa essere poco più di uno sconosciuto.
Si cerca di puntare al rinforzo di quelle alleanze nascoste sotto racconti lineari dei componenti la famiglia, per permettere un turnover di aiuti intorno al malato che consenta l’avvicendarsi di compiti e non il carico su di un singolo.
Si mettono in luce le differenze tra “noi” e il “malato”, al quale si dona dignità in quanto tale, non si tende alla commiserazione o al ricordo di com’era in passato.
Grazie a questo progetto si è statisticamente denotato un decremento delle istituzionalizzazioni per malattia di Alzheimer con un abbattimento dei costi di cura e una maggior soddisfazione e serenità dell’intero nucleo famigliare (Mazet, 2004). Molte famiglie hanno chiesto di continuare anche dopo le 10 sedute iniziali ed alcuni hanno proseguito il percorso terapeutico anche dopo la dipartita del congiunto.
Forse la malattia di Alzheimer è una delle patologia che maggiormente rispecchia il dualismo esistente tra corpo e mente e se la terapia sistemica ci porta a non patologizzare e non etichettare i malati in base ai criteri diagnostici in uso, il sistema in atto a Parigi può essere un esempio da imitare contestualizzandolo nel nostro paese.
Possiamo trasformare gli stuck system (Cecchin, 2003) in sistemi evolutivi differenziati.
Si può creare un nuovo mondo possibile anche per chi la possibilità non la vede più come scelta, ma solo come lontana utopia.
LA MALATTIA E’ NEGLI OCCHI DI CHI GUARDA
Non si abbandonano più solo i cani sulle autostrade,
ma si abbandonano anche i parenti
e questo dovrebbe farci riflettere.
Pupi Avati
Di seguito un invito alla visione di tre brillanti pellicole cinematografiche che gettano un velo d’amore e che danno speranza creando possibilità nuove intorno alla cura dei malati di Alzheimer. Anche se non direttamente esplicitata in alcuni punti i film sembrano rappresentare il risultato auspicato dei professionisti di Parigi, con una ricollocazione dei caregiver in una realtà nuova.
Nel film Lontano da Lei, Fiona è sposata con Grant da 44 anni e vive con lui in un cottage sovrastato da un lago ghiacciato circondato da boschi innevati in Canada.
La malattia sempre più visibile di Fiona sembra conferire particolare valore ad ogni gesto d’affetto tra i due. Quando la devastazione cerebrale intacca i ricordi, Grant decide di accompagnare la moglie a Meadowlake dove la donna vuole ricoverarsi in un centro di degenza, contro il desiderio del marito. Il distacco diviene una straziante necessità.
Fiona dopo un mese di degenza non è più in grado di riconoscere il marito. In questo divenire del dramma di fisiologiche dissolvenze che il film mette in rilievo, tra Grant e Aubrey (codegente di Fiona) si attiva un’assurda quanto occasionale rivalità, animata dalla gelosia del secondo.
C’è la dura verità di una condizione umana consegnata ad una biologica perversione disumanizzante, quella dell’Alzheimer.
“Lontano da lei” è un’analitica disamina di un’evoluzione del dolore che s’installa come una lama nel corpo stesso dei sentimenti quando nella malattia irrompe il dramma della malattia incurabile.
I segni dell’Alzheimer possono ancora oggi mutare la forma di un legame, dividere fisicamente l’unità amorosa conquistata nello spazio di una vita in comune: ma pur nella loro inarrestabile violenza, questi maledetti segni della marcescente fragilità del destino umano non riescono ad imporre un distacco definitivo, una dissolvenza irrimediabile. Il dolore si fa neve riflettente, materia su cui si specchia la coscienza di un affetto che, sconfiggendo il tempo, si propone come eterno, in ogni attimo congelato dalla memoria.
Nel film Una sconfinata giovinezza, Lino e Chicca vivono una vita coniugale serena. Lino da qualche tempo, però, accusa problemi di memoria, che via via si accentuano andando a compromettere in modo sempre più evidente il quotidiano svolgersi della sua attività sia nell’ambito professionale che famigliare. Dapprima i coniugi decidono di riderne, ma il disturbo va ad imporsi con sempre più esplicita evidenza fino a quando alla luce di attenti ed approfonditi esami un neurologo diagnostica a Lino la m. di Alzheimer. Prende così avvio una commovente storia d’amore fra un uomo che si allontana dal presente e la sua donna che, rifiutando ogni ipotesi di abbandono, qualsiasi ausilio che la esclude, decide di starle accanto “regredendo” con lui sino alla sua più remota infanzia.
Nel film Iris, un amore vero, viene raccontata la storia di una delle “donne più brillanti d’Inghilterra”, Iris Murdoch, romanziera e filosofa che morì per le sequele dell’Alzheimer nel 1999, scrisse 25 gialli psicologici dalle trame bizzarre in cui il macabro si mescola a situazioni di commedia.
In un puzzle prodigiosamente calibrato tra gli anni della giovinezza e il periodo finale della sua vita, controllato dalla malattia, viene narrata una relazione d’amore durata quarant’anni.
Mentre Iris si dissolve gradualmente, il marito John le resta incondizionatamente devoto, tentando di prendersi cura di lei quando a malapena riesce ad occuparsi di sé.
CONCLUSIONI
Da medico, mi sento di consigliare ai caregiver dei malati di Alzheimer di non distruggersi, di non andare avanti solo per la paura di essere sopraffatti un domani dai sensi di colpa, ma di affidare il proprio caro a cure che possano accompagnarlo al capolinea della vita dignitosamente e senza accanimento.
Da futuro psicoterapeuta mi sento di abbracciare quanto sta prendendo forma in Francia e “pubblicizzare” anche in Italia un approccio sistemico che tenti di riconnettere le relazioni tra i membri della famiglia del malato, che cerchi di favorire un punto di vista esterno che possa limare i conflitti e permettere di affrontare giorno dopo giorno quello che il futuro inesorabilmente sembra avere tracciato a priori, con più risorse da ricercare all’interno della famiglia e per la famiglia.
Da figlia di una madre malata di Alzheimer mi sento di invitare gli scienziati a puntare di più sulla cura di questa malattia che può avere una luce in fondo al tunnel. Invito a chi si trova nella stessa situazione di Grant, Chicca e John a prendere atto della trasformazione che chi ci sta accanto sta subendo, di aiutarlo ad affrontare il cambiamento più serenamente possibile perchè il senso di Sé non è circoscritto entro i limiti della persona individuale; il senso di Sé abbraccia oltre a “noi” anche quel che sentiamo essere “nostro”: reagiamo alle offese portate ai nostri cari come se fossero portate a noi, e l’esperienza di chi perde una persona amata è di perdere una parte di sé (Barbetta, 2012).
BIBLIOGRAFIA
Angel, P., Mazet,P. (2004) Guerir les souffrances familiales. PUF, Paris
Arfeux-Vaucher, G., Dorange, M.,Vidal, J. C. , Gaussens, J. (2004) Troubles dementiels et vecus familiaux: une approche sur trois generations. Hardcover, New York
Barbetta, P., Casadio, L., Giuliani, M.(2012) Margini tra sistemica e psicoanalisi. Antigone, Torino
Bateson,G.(1964) Verso un’ecologia della mente. Adelphi, Milano (1976)
Cristini, C., Rizzi, R., Zago, S.(2005) La vecchiaia tra salute e malattia,aspetti biologici, psicologici e sociali. Pendragon, Bologna
Geiger, A.(2012) Il vecchio Re nel suo esilio, Feltrinelli, Milano
Maturana, H. R., Varela, F. J. (1985) Autopoiesi e Cognizione, Marsilio Editori, Venezia Pazzaglia, P. (2008) Clinica neurologica, Esculapio, Bologna
Minuchin, S. (2002) Familles en therapie, Eres, Toulose.
FILMOGRAFIA
Iris,un amore vero, di Richard Eyre (Usa), 2001
Lontano da lei (Away from her), di Sarah Polley (Usa), 2008
Una sconfinata giovinezza, di Pupi Avati (Italia), 2010