Recensione del libro “LA TERAPIA COME IPERTESTO” di M. Giuliani
“Si fa un sacco di fatica a capire la propria zolla di terra,
non resta molto per capire il resto del campo.
Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c’è il campo intero.
E comunque,dicevo che c’è qualcosa,lì,
che mi andrebbe di capire.”
Con questa citazione di Alessandro Baricco si apre il capitolo 1 de “la Terapia come ipertesto” (La matrice ipertestuale del Sé - Ipotesi terapeutiche in un contesto ipertestuale) a cura di uno dei due autori del testo, Flavio Nascimbene e non si può immediatamente non connettere il pensiero con la teoria che “La mappa non è il territorio” che troviamo in “Mente e Natura” di Gregory Bateson e la “Teoria dei tipi logici” di Russell..capisaldi della teoria sistemico relazionale dai quali non si può prescindere. In questa citazione c’è anche qualcosa di tipicamente milanese : La frase finale ci conduce alla “curiosità” di Gianfranco Cecchin,pragmatica e non teorica, che ci rammenta che solo se ci va di capire, e se il nostro ascolto è genuinamente curioso allora possiamo davvero instaurare una buona relazione terapeutica.
Dopo l’introduzione a cura di Paolo Bertrando,il libro si evolve in 5 capitoli dove dopo un’ampia spiegazione circa il contesto in cui nasce il termine “ipertesto” quindi con i riferimenti alla rete virtuale,ci si addentra nei due capitoli centrali in cui verranno esplicate le differenze tra testualità e ipertestualità e tra soggettività e realtà,in quanto i clienti sono soggetti responsabili della propria realtà. Il quarto capitolo è dedicato alla metafora della famiglia come ipertesto mentre nell’ultimo capitolo si vedono applicati tutti i concetti esposti in precedenza e si riesce a cogliere l’immediatezza nell’applicabilità degli stessi.
Il libro parla di una nuova forma di narrazione,l’ipertesto, e con essa la nascita di una nuova metafora: “La terapia come ipertesto”,ma in senso più allargato “la famiglia come ipertesto” perché il gioco che pare crearsi mentre si scorrono i capitoli del libro è passare dalla ipotestualizzazione,attuale e contestualizzante, alla ipertestualizzazione ricca di collegamenti aperti dove si sceglie la strada e come proseguire in base alla risposta precedente,come in una grande flow chart,come quando si cercano gli amici su facebook o come capita a me,quando al mattino arrivo al lavoro con la scaletta precisa di ciò che dovrò fare e mi rendo conto che così facendo decontestualizzo il lavoro e lo rendo non assoggettabile a modifiche,ma ciò non è possibile,nel mio lavoro,nel lavoro di terapeuta,non deve esserci una linea preformata,una strada scritta. La strada viene scritta,cocostruita con il terapeuta e la famiglia parola dopo parola,”non verbale” dopo “non verbale”,uscendo dal mero concetto di causa-effetto che a differenza dell’ipertesto diventa sempre prevedibile.
Se questo si avvicina al senso che ne volevano dare gli autori allora assistiamo ad un mutamento del compito del terapeuta: dall’essere il detentore del potere onniscente e il depositario della verità cambia in “capace narratore di storie” in grado di tessere fili su più livelli chiarendo ciò che ancora appare più ostico e poco visibile. Avrà il compito di riportare la storia su livelli logici differenti affinchè venga affrontata a 360 °C senza lasciare “non detti” tra le righe,scoprendo a volte che la propria storia “rinarrata”altro non è che un’altra storia.
La lettura richiama anche al concetto di osservatore che in terapia sistemica viene allargato a tutti i componenti della terapia (terapeuta compreso,che viene osservato dall’équipe dietro lo specchio) e che diviene fondamentale per acquisire nuovi punti di vista per poter riformulare e rileggere la storia con lenti diverse,di sentirsela raccontare anche con la propria voce,ma nelle parole degli altri…e cosa ci può essere di più ipertestuale di questo approccio? Che dà la possibilità di aprire link sempre nuovi,applicando la circolarità e liberandosi dai conformismi e dai preconcetti,che a volte servono,ma solo se abbiamo ben in mente il fatto di averli.